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Il Santuario di Sant’Antonio da Padova

Borsea, Reggio Emilia, Santuario di Sant'Antonio da Padova
Borsea, Reggio Emilia, Santuario di Sant'Antonio da Padova

La storia

La tradizione locale voleva che S. Antonio da Padova fosse passato, in uno dei suoi viaggi nel nord Italia, da Borsea, da qui la costruzione dell’Oratorio a ricordo del suo passaggio.

E’ presumibile che verso la fine del ‘600 a Borsea, vi fosse solo un pilastro o una piccola maestà dedicata a S. Antonio da Padova, fu poi agli inizi del ‘700 che Giuseppe Micheloni, appartenente alla famiglia più abbiente di Borsea, iniziò la costruzione di una chiesetta su un terreno di sua proprietà.

Questo sacerdote, di cui per altro non si conosce quasi nulla, era un grande devoto del Santo di Padova e nel 1710 si narra fosse stato guarito miracolosamente per intercessione di Sant’Antonio ed in virtù del voto emesso in prossimità di una morte quasi certa, si fece carico di riedificare una piccola chiesa sul luogo della vetusta e assai malridotta cappellina del Santo.

L’Oratorio era già completato e arredato ai primi del 1712 e dalla relazione scritta il 12 Maggio 1712 emergono dati e notizie molto interessanti:

  • L’Oratorio era distante 34 braccia (mt.18) dalla casa di Don Micheloni, lungo 11 braccia (mt.6,5), largo e altro 7 braccia e mezzo (mt.4,5).
  • L’altare era costruito in pietra con banchetta pure in pietra; sopra l’altare un quadro raffigurante S. Antoni da ‘Padua’, un crocefisso e quattro candelieri in ottone. Seguiva la descrizione degli arredi sacri fra cui molti paramenti in seta.

Mentre per i paramenti non vi è nulla di sostanzialmente modificato, il quadro di S. Antonio viene così descritto dal parroco di Grassano Don Giuseppe Guidarini, stesore dell’inventario:

In quest’Oratorio vi è un solo altare pogiato alla muraglia respicente a sera. Sopra cui s’innalza un’ancona appesa al muro, entro a cui vi è una tela, ove sono dipinte le Effigie di Maria Vergine Assunta in Cielo, di S. Giuseppe, e di S. Antonio da Padova, che riceve da Maria Gesù Bambino; a piedi dell’ancona una banchina di legno colorita con sei candelieri con la Croce in mezzo di legno argentato

La chiesetta di Sant’Antonio, chiamata comunemente l’Oratorio di Borsea, conobbe un periodo di grande dignità per oltre un secolo, grazie anche alla presenza in parrocchia di un numero tale di sacerdoti che permetteva il costante servizio liturgico. Il sacro edificio servì ad assicurare, almeno fino alla fine del XIX secolo, l’assistenza religiosa a quella parte di parrocchia di Grassano per la quale la chiesa parrocchiale era troppo lontana e faticosa da raggiungere e  divenne un punto di riferimento della devozione a Sant’Antonio per le parrocchie vicine e per i territori della media Val d’Enza.  Il 13 Giugno di ogni anno, numerosi pellegrini giungevano a Borsea per la processione e la Messa cantata.

Negli anni venti del novecento la festa di Sant’Antonio a Borsea era ancora molto sentita e festeggiata con solennità in tutta la Val d’Enza. Negli anni a seguire ci fu un abbandono che ne provocò un rapido declino con profonde ferite alla struttura.

Nel 1983 il Santuario venne restaurato e riaperto, grazie alla sensibilità e devozione di un gruppo di persone.

L'arte

L’edificio si presenta come un tipico Oratorio di campagna, con la semplice facciata a capanna. Di linee molto semplici, denota però una certa finezza esecutiva, specialmente nell’interno.

La posizione, poi, è tra le più incantevoli della zona, poiché da esso si può godere un panorama molto suggestivo, con il Castello di Rossena verso l’abside e la chiesa parrocchiale di Grassano sulla sinistra, mentre sul lato destro si apre la Valle dell’Enza.

L’esterno è in sasso grigio dell’Enza non intonacato, con un portale nella facciata, sopra il quale si apre una finestrella a croce per illuminare l’interno.

Sulla facciata, poi, è stata posta, recentemente, una lapide commemorativa del passaggio del Santo da quei luoghi, e il ricordo dell’avvenuto restauro. Si presume che prima vi fosse collocata una statua rappresentante il Santo.  

La campana, posta sopra la porta secondaria, era originariamente su un piccolo campanile a vela, posto sull’abside, e tolto, perché pericolante durante i restauri.

Sotto la stessa abside, essendoci un dislivello dal piano stradale di circa due metri, si apre un vano, che conserva l’antica pavimentazione della primitiva cappella, e che venne usato come sagrestia fino agli anni quaranta del XX secolo.

Questa stanza, secondo i più recenti studi dovrebbe corrispondere proprio al primitivo oratorio. Il portale presenta due piccole sculture ormai totalmente logore dal tempo e illeggibili (probabilmente figure zoomorfe) che lo fanno datare sicuramente al XIV/XV secolo.

L’interno abbastanza sobrio, rispecchia lo stile dell’epoca, il barocchetto emiliano “povero”, tipico di tante chiese anche della città.

L’altare, con la sua pala, è un po’ troppo grande per il luogo dove si trova e non risalta come dovrebbe, essendo veramente di pregio notevole. Il quadro con la sua cornice fu ordinato dallo stesso don Micheloni. La cornice, in legno intagliato, era in origine dorata in diversi punti. Ora non rimane che lo stucco bianco, ma risalta ugualmente per la finezza dell’esecuzione e l’armoniosità; lo stile è tipico dell’epoca, e riporta ad altre cornici (per lo più in stucco) dello stesso periodo presenti in zona.

La tela, è di un autore sconosciuto della fine del XVII secolo, vicino alla scuola di Francesco Valcavi, attivo a San Polo in quel periodo; la mano risulta essere più pesante e grossolana del maestro, ma diversi particolari riportano ai dipinti della chiesa del Castello di San Polo. Il quadro raffigura Sant’Antonio che riceve dalla Madonna e da San Giuseppe Gesù bambino, nel quadro sono presenti anche altri elementi, come cherubini e l’inginocchiatoio del Santo, forse un po’ troppo pieno, tanto da far pensare ad alcune aggiunte posteriori.

Il paliotto dell’altare è un capolavoro di scagliola attribuito al Guidelli, a fiorami multicolori, genere abbastanza diffuso nella zona (basti pensare alla Pieve di San Polo e a quella di Montecchio), ma molto raffinato e di esecuzione molto costosa, riproduce in modo molto fedele un paliotto di broccato veneziano, con tanto di finte passamanerie argentate. Il gradino della mensa è della prima metà del settecento, ed è posteriore alla relazione di don Costa per il vescovo Picenardi; è in legno intarsiato e dipinto con motivi che riprendono le decorazioni delle greche delle pareti, in tinte azzurre. Dell’epoca sono anche i due mobili da sagrestia, posti recentemente ai lati dell’altare, ma che all’origine erano posti nella stanza sottostante la chiesa, adibita appunto a sagrestia, e le quattro panchette con inginocchiatoio.

La via Crucis, venne collocata nel primo decennio dell’ottocento, e le stazioni, stampe a colori del 1810 ca., recano sulla cornice lo stemma francescano.

Gli ex voto, restaurati e risistemati recentemente, sono solo una piccola parte di quelli originari, del tutto perduti sono gli altri oggetti donati per grazia ricevuta: stampelle, quadretti, gioielli (alcuni di questi sconsideratamente andati persi durante l’ultimo restauro).

Uno dei recenti doni più rilevanti è la statua di Sant’Antonio in legno di Ortisei, offerta dai Frati Minori Conventuali di Treviso. Questo prezioso dono, riproduzione di quella in uso nella Basilica del Santo a Padova, accompagna ora la processione che esce ogni anno dal Santuario per benedire le campagne.

L’Oratorio di Borsea, ottenuto il riconoscimento di Santuario Antoniano dalla Custodia della Basilica del Santo in Padova, nel 1992 ha ricevuto in dono dagli stessi una preziosa reliquia ex ossibus prelevata dall’ultima ricognizione alle ossa di S. Antonio.

Borsea, Reggio Emilia, Santuario di Sant'Antonio

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